IL MISTERO
La festa della Trinità è molto bella ma è difficile da concettualizzare.
Ha esordito così Don Nicola nella sua riflessione domenicale, dedicata, stavolta, al “mistero” della Trinità. Di fatto, più si parla della Trinità più si rischia di “disturbarla”, ha aggiunto lo stesso don Nicola.
Non a caso il tema della Trinità ha dato vita, nei secoli, a tante riflessioni filosofiche, dispute teologiche, approfondimenti dotti e spesso, altrettanto sterili.
In effetti, se vogliamo, dobbiamo parlarne non come qualcosa di astratto o di meramente concettuale, piuttosto come una dimensione reale e concreta che appartiene a noi tutti.
La festa della “Trinità” ci porta, invero, a un livello diverso, ma non astratto, a sviluppare noi stessi.
Si tratta di celebrare lo sforzo verso un rapporto con se stessi con gli altri basato, essenzialmente, sulla relazione d’amore. Spesso, infatti, siamo indotti a separare a pensare in termini di buono/cattivo, male/bene, morte/vita alimentando, in tal modo, anche una scissione interna a ciascuno di noi.
Sebbene, talvolta dividere, separare può servire metodologicamente per comprendere meglio fenomeni complessi, nel caso della Trinità, il rischio è che ci separiamo anche all’interno di noi stessi.
Ma l’amore, in realtà, non sopporta confini né parziali né temporali. Supera ogni confine.
E, quando ci attardiamo a separare, dividerci al nostro interno, rischiamo di sprecare il nostro tempo per poi rimettere insieme, se ci riusciamo, ma con più fatica, poi ciò che prima abbiamo separato.
Alimentando così un atteggiamento dispendioso e faticoso che spesso somiglia a una missione impossibile.
In realtà la nostra crescita personale passa attraverso l’integrazione delle parti, mettendo insieme, anche faticosamente, parti, aspetti della vita sociale e di ciascuno che tendono a escludersi reciprocamente.
Crescere significa, allora, andare fin in fondo nella relazione, puntare sulla funzione sanificatrice della relazione d’amore.
L’amore, peraltro, non è possibile coltivarlo da soli. E quando questo avviene scivoliamo nel solipsismo, vale a dire quell’individualismo esasperato, per cui ogni interesse è accentrato su di sé e tutto il resto, ogni realtà oggettiva che non rientri nella propria sfera d'interessi, viene decisamente ignorato.
L’uomo, invece, ha un fondamentale bisogno di relazione. E lo stesso Dio è un Dio in relazione, è Relazione d’Amore. .
In buona sostanza, Dio ha voluto rivolgere un Messaggio a noi, creature umane, per interpellarci come persone con cui relazionarsi. La stessa proposta di Cristo rimanda ad una scelta di relazione.
Alla base di tutto ciò c’è l’incontro con il Mistero.
Noi, in effetti, siamo sconosciuti a noi stessi. Così come Dio è un mistero per noi. Ma, proprio per questo, conoscere noi stessi significa conoscere Dio, laddove è anche vero che conoscere Dio permette di conoscere veramente se stessi.
DIO È GIÀ CON NOI.
Peraltro, il mistero di Dio ci interroga a cominciare da questa vita. Infatti non esistono due vite, non esiste un prima e un dopo. La morte è solo un velo che dobbiamo attraversare con la consapevolezza del fluire dei passaggi di un processo unitario.
In effetti la vita è qui, e anche Dio è già qui, non altrove. Dobbiamo, allora, avere il coraggio di relazionarci con il mistero dentro di noi e non farci bloccare dalla paura.
Giacché, in fondo, siamo stesso noi che ci autocondanniamo proprio quando non ci facciamo interrogare dal mistero e non lo accogliamo. È proprio allora che rimaniamo soli, privandoci di una prospettiva assolutamente disponibile e preziosa.
E, viceversa quando accogliamo il mistero ci sentiamo più liberi.
La filosofia può servire ma dobbiamo andare oltre. Dobbiamo riconoscere e vivere la dimensione della relazione, della comunità e del mistero, come occasione di crescita.
Don Nicola a questo punto porta l’esempio dell’incontro con la famiglia di Joao, un ospite della Comunità, laddove in un primo momento, la comunicazione si era bloccata, avendo scelto Joao di chiudersi nella sua solitudine. Solo aver opportunamente preso le distanze dal contesto, Joao ha preso la decisione e il coraggio di uscire dall’isolamento, si è fidato, si è sbloccato e si è aperto alla relazione. Ed è diventato più “bello e più libero”.
Difatti, nella relazione è importante anche il fattore “tempo”. E il compito dell’accompagnatore è soprattutto di avere pazienza ed ESSERCI.
In effetti se il centro La Tenda è riuscito a fare tante cose è solo perché abbiamo fatto l’esperienza della relazione dentro di noi. Ed abbiamo potuto assaporare sprazzi di bellezza. E di “generatività”.
La relazione, infatti, appartiene all’amore l’amore paterno e materno insieme, è generativo.
È il tempo, allora, di dare spazio alla relazione con coraggio, anche perché la relazione richiede scelte, pazienza, impegno.