DOMENICA 22 NOVEMBRE 2020

COMMENTO ALL’OMELIA DI DON NICOLA BARI

Gesù ci parla oggi da Re.

Ma bisogna intenderlo bene.

Se ci rifacciamo all’idea stereotipa del Re, potente e ricco, che decide la sorte dei suoi sudditi, suddividendoli in buoni e cattivi dall’alto di un trono da cui giudica il destino di ciascuno, rischiamo di andare fuori strada.

E di coltivare un’idea di Dio opposta alla proposta di Amore incondizionato che afferma e testimonia, nella sua relazione con l’uomo.

Difatti, l’amore non si esplica se non in un rapporto, in una relazione e il Vangelo mette anche oggi  in evidenza la proposta che Dio instancabilmente, rivolge alla creatura umana.

Una proposta di amore  che facciamo fatica a recepire, ma soprattutto a tradurre, se non attraverso blande, scontate, generiche, superficiali dichiarazioni di bene per il prossimo.

In realtà, ci ammonisce Don Nicola, dovremmo aver l’umiltà di dire “ti voglio bene ma non sono capace di volerti bene veramente”.

Ma non solo, tendiamo anche a proiettare su Dio atteggiamenti e giudizi che in realtà appartengono a noi, costituzionalmente incapaci di amare veramente. Cosicché ci rifacciamo  ad immagini (come, per esempio quella del Giudizio Universale di Michelangelo) che, sebbene  affascinanti e mirabili, nondimeno tradiscono una mera trasposizione degli attributi umani alla figura divina.

Ma Dio non separa e non giudica.  

Dio è amore incondizionato e ci offre testimonianza di questo amore liberante ricordandoci quanto piccoli siamo nella nostra essenza umana  e  quanto distanti siamo dalla capacità di amare autenticamente l’altro.

Ma  ci offre anche una strada, per esempio, attraverso la parabola  del Buon Samaritano, con  la quale  spiazzandoci,  sovverte i nostri rigidi schemi mentali, i nostri giudizi a buon mercato, le nostre comode autoassoluzioni e ci aiuta a riconoscerLo nel prossimo.

Dio continua ad amarci e non indietreggia. Attende pazientemente  che ci rendiamo conto che la sua è la proposta di un Amore che può aprirci veramente alla vita.

Una vita da riscoprire nella relazione con l’altro, il povero, l’indigente. E così ci indica anche la vera strada  in grado di condurci alla vera gioia della vita.

Vale a dire la strada di una povertà che Gesù ci invita incessantemente  a riconoscere, a scorgere e a soccorrere nei nostri fratelli più poveri e indifesi, ma, in fondo, a riconoscere innanzitutto in ciascuno di noi, poveri da convertire e da riportare sulla strada della Vita.  

In realtà, se non riconosciamo la nostra stessa povertà, non possiamo incontrare e relazionarci veramente con Dio.

Infatti,  Dio del Nuovo Testamento (e nella parabola di oggi, ancora una volta) indica esplicitamente  i poveri, gli affamati, i malati, i sofferenti come coloro cui destinare attenzione   e premure.

Ma in fondo  ognuno  di noi  è povero, affamato, sofferente, con la sola aggravante   che spesso  ci illudiamo di non esserlo, autocondannandoci.

E allora, risulta chiaro che non è Dio a giudicare, a separare, ad abbandonare come farebbe un re di questa terra, ma siamo noi che ci facciamo scudo di una falsa immagine creata solo dalla nostra paura di amare.

Dio ci lascia, è vero, la libertà di rimanere schiavi delle nostre paure, della nostra incapacità di amare.

Ma è una  libertà di cui dobbiamo, prima poi trasformare in responsabilità.

Evitando, per l’amor di Dio , (è proprio il caso di dire) di sentirci ricattati o peggio giudicati da Lui.

Proviamo a riconoscere invece in questa proposta l’ennesima premura per rivolgerci a Lui, con fiducia.