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ACCOGLIENZA

LA “PAROLA” DELLA DOMENICA

(Riflessioni, emozioni, sollecitazioni operative correlate alla omelia domenicale di Don Nicola Bari)

27 giugno 2020 Comunità Sorella Luna Roma

ACCOGLIENZA

 

“Quelle di questa settimana”, ha iniziato col dire Don Nicola, “sono letture ricche, molto vicine a noi e ci aiutano, tra l’altro, a riflettere sul significato del “discepolato”.

 

 

Cristo insegnava ai discepoli e li incoraggiava ad andare in  giro per il mondo, ad insegnare qualcosa ma soprattutto a testimoniare un percorso di vita… fino a proporre loro di diventare amici.

“E ciò fa pensare molto” ha aggiunto don Nicola, “ai nostri rapporti, all’evoluzione che possiamo dare ai nostri rapporti”.

Che non prevedono il ruolo dell’insegnante e dell’allievo, di chi conosce e di chi è ignorante, anche se c’è sempre qualcuno che può insegnare qualcosa a qualcun altro.

Il vero Maestro, in realtà, non è colui che svolge per mestiere questo ruolo ma più credibilmente  è colui il quale è consapevole della proprie difficoltà, dei propri limiti, delle proprie fragilità e si rapporta all’altro con disponibilità, umiltà, spirito di accoglienza.

In realtà, l’esperienza dell’accoglienza un rapporto e quando non c’è  una relazione, più che di accoglienza dobbiamo parlare di chiusura.

Peraltro, Don Nicola ha tenuto a chiarire, a proposito del brano evangelico di oggi, che recita testualmente: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” , cosa intendesse veramente .

Il brano, infatti, va  interpretato correttamente e  non trasformato in una richiesta quasi disumana, come talune interpretazioni possono far pensare,  con espressioni ancora più dure, del tipo: ”chi non odia il padre e la madre non è degno di me”.

In realtà, ognuno di noi è portatore di un’inestinguibile fame di amore, di ricevere così come di dare amore.

E difatti, riusciamo ad amare solo quando siamo consapevoli di essere stati amati.

Ma in realtà in ciascun percorso di vita c’è una storia, spesso segnata da  ferite, vuoti affettivi, dolori  che condizionano la nostra esistenza.

Ma per di più le ferite sperimentate, in passato,  nei diversi rapporti, tendiamo a trasferirle presente.

La domanda, allora, sorge spontanea: “Come si fa ad amare?”

“In realtà l’amore non lo troveremo mai”, è l’affermazione perentoria di Don Nicola. Ma è una affermazione provocatoria che apre e he lascia spazio ad ulteriori importanti  consapevolezze.

E difatti, le nostre esperienze di vita ed i nostri rapporti  sono spesso   dolorosi  e, in fondo c’sempre, in agguato,  una delusione che ci attende.

Riusciamo  a capire qualcosa di più e ad amare un po’ di più solo  quando la sofferenza ci richiama e ci diamo la possibilità di accogliere le nostre ferite.

Il Vangelo di oggi ci aiuta a fare questo passaggio, suggerendoci la opportunità di non rimanere in  una condizione di  perenne immaturità. E lo fa indicandoci la prospettiva dell’accoglienza, della accettazione di un rapporto nuovo con l’altro, con il mondo, con se stessi.

 

 

Mt 10, 37-42
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.
E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa".

 

Di fatto Cristo, a dispetto dell’interpretazione letterale del Vangelo, non ci richiede  di abbandonare i nostri cari ma di crescere in adultità, superare la condizione di figli, di dipendenza, di subalternità

In effetti, nel brano evangelico è contenuta la   benevola esortazione ad essere più adulti, nella vita come nella fede.

L’amore, in realtà, non coincide con la negazione  della nostra vita  ed è fatta di cose anche molto semplici, come donare un bicchiere d’acqua, senza pretendere di compiere gesti solo oblativi.   

È questo l’ulteriore insegnamento del Vangelo di oggi che sembra, così, togliere ogni alibi alla nostra paura di crescere.

In realtà è proprio quando pretendiamo di essere perfetti nell’amore, nel dare, nel donarci all’altro che rischiamo di perderci.

A Cristo, basta anche un “bicchiere d’acqua”, basta la umile consapevolezza dei nostri limiti e la disponibilità autentica ad accogliere la nostra pochezza, per disporci ad amare e a essere amati veramente.

 

Del resto, don Nicola, coerentemente con l’impostazione che ha sempre dato alle riflessioni domenicali, ci riporta alla concretezza della nostra vita comunitaria laddove possiamo leggere e attualizzare nella ordinarietà della nostra esistenza  le letture evangeliche.

 

Difatti, in conclusione, Don Nicola ci ricorda   che l’accoglienza implica primariamente riconoscere e accettare la  nostra stessa  immaturità e  la possibilità di crescere attraverso un movimento progressivo,  o meglio “una  progressione di affetti”.

Che possiamo ritrovare rileggendo le nostre storie personali.

 

Anche per questo, Don Nicola ribadisce che non si tratta di trovare maestri, cui delegare gli insegnamenti di vita ma riconoscere la preziosità dei rapporti e dell’insegnamento che deriva proprio dallo scambio di esperienze, dal mettere in comune, dall’accogliere l’altro come occasione di crescita.

In realtà è proprio questo il senso dell’altra affermazione contenuta nel brano evangelico di oggi:

“chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” che, di fatto, non significa esaltare la sofferenza, tantomeno ritenere improvvidamente che è questo che cì viene chiesto da un Padre incomprensivo (e incomprensibile per la verità).  

Ma più realisticamente, ci vene chiesto,  di fare i conti con la nostra storia, le nostre ferite, i nostri limiti come stimolo, occasione per crescere e per essere veramente liberi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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