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ORFANANZA

LA “PAROLA” DELLA DOMENICA

(Riflessioni, emozioni, sollecitazioni operative correlate alla omelia domenicale di Don Nicola Bari)

 

ORFANANZA

 

La storia dell’uomo, così come quella della Chiesa, è segnata da un incessante divenire, da cambiamenti talvolta traumatici che altrettanto spesso spiazzano e disorientano.

Ma che vanno riconosciuti, più correttamente, secondo l’insegnamento delle Scritture, come delle provvidenziali occasioni per accettare i nostri limiti, crescere e realizzare la nostra vera umanità.

È un processo che si concretizza, soprattutto, nella capacità dell’uomo di costruire e coltivare sane relazioni solidali.

 

Difatti è proprio Cristo, nel Vangelo di oggi, che ci esorta a vincere il sentirsi orfani (ovvero l’orfanezza”, come l’ha definita Papa Francesco con un neologismo) che sta ad indicare il rischio di coltivare una fede immatura, fondata sulla dipendenza, su un atteggiamento, infantile, passivo.

Difatti, l’esortazione che ci viene da Cristo e dal Vangelo, in particolare quello di San Giovanni, va proprio in questa direzione.

Senza negare il bisogno di tenerezza, il desiderio di affidarci inermi al Dio Padre misericordioso, Don Nicola ci ha invitati a riconoscere più pienamente la necessità essere più attivi, protagonisti del cammino che ci attende.

Un rapporto da tenere sempre vivo perché vivo è il processo che Cristo ha innescato nel nostro cammino di essere umani con la sua venuta, ma anche con la sua morte, ovvero con la separazione fisica, più volte annunciata nel Vangelo.   

Difatti, Gesù Cristo ci ha invitati a coglierla come un’occasione preziosa - e necessaria - per elaborare un passaggio che ci rende veramente vivi e liberi. E proseguire con fiducia nel nostro processo in continuo divenire.

In questa prospettiva, si tratta, allora, di accogliere gli stessi Comandamenti, non di subirli, e di apprezzarne la funzione di amorevole attenzione di Dio per l’uomo: realizzare il comandamento più importante di tutti, il Comandamento dell’amore. Quello che dà senso alla nostra vita e alla stessa libertà dell’uomo.

Sperimentare la separazione dalle persone care (cos’altro è la morte, almeno sul piano psicologico, se non una separazione?) è certamente un’esperienza dolorosa, per certi versi inaccettabile, ma anche un passaggio necessario per crescere e riconoscere la vera essenza della nostra natura e della nostra fede. Che si realizza pienamente solo nella esperienza della relazione, o meglio nella relazione d’amore.

L’amore è, di fatto, il motore di ogni esperienza, di ogni relazione vera, di ogni squadra che voglia veramente costruire il futuro e superare l’”orfanezza”.

Gli stessi Comandamenti sono il forte atto d’amore che il Padre Nostro ci ha voluto donare per accompagnarci verso una prospettiva di vita adulta che ci consenta di scoprire e godere veramente la fecondità della relazione con Lui.

E proprio da questo punto di vista, il nostro Don Nicola ci ha spronati ad andare avanti, a vivere ma anche a riconoscere la nostra capacità di fronteggiare le crisi e i cambiamenti conseguenti, come stiamo facendo soprattutto in questo periodo, “grazie” anche all’emergenza coronavirus. Che ha innescato nuove, feconde esperienze di sviluppo del nostro processo di crescita, personale e associativo.

Una bella prova della nostra capacità reattive, operative, non c’è che dire, ma anche il segno della fiducia nella squadra solidale del Centro La Tenda. Ma anche l’occasione per sviluppare attivamente le “nuove relazioni” che questo tempo di crisi ci sta regalando. 

 

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MESSAGGIO PER UN’AQUILA CHE SI CREDEVA UN POLLO

INTRODUZIONE

Un uomo trovò l’uovo di un’aquila e lo mise nel nido di una chioccia.

Quando si schiuse l’aquilotto cominciò a crescere insieme ai pulcini pensando di essere uno di loro.

Faceva quello che facevano loro, mangiava vermi e scavava nella terra e non si sollevava dal suolo se non di pochi centimetri.

Un giorno, quando era già divenuta molto anziana, vide volare alto nel cielo un uccello maestoso, e chiese cosa fosse.

Il vicino gli rispose che era un’aquila, il re del cielo, capace di volare, mentre loro, come polli, erano capaci solo di vivere a terra.

Così visse e morì come un pollo, solo perché credeva di esserlo.

Lo so, sembra assurdo pensare che tu non voglia davvero essere felice o stare bene.

Davvero tu preferiresti soffrire, provare emozioni negative e vivere una vita infelice?

De Mello, l’autore del libro, dice proprio questo, specificandolo però in modo molto chiaro:

[…] noi non vogliamo essere felici incondizionatamente. Sono pronto a essere felice a condizione che abbia questo e questo e quest’altro.

Ho scritto una risorsa dedicata solamente a capire cos’è la felicità, e ti invito a leggerla, perché parlo proprio della differenza tra felicità condizionata e incondizionata.

Ma davvero non vuoi essere felice, dunque?

Il problema è che, come dice De Mello, abbiamo stabilito delle regole per essere felici.

Ma conoscere se stessi significa farsi domande scomode.

Ecco la prima.

Accetteresti di essere felice senza avere nulla di quello che desideri?

Giriamola così: se potessi essere felice senza niente di tutto questo, andrebbe bene?

Domanda difficile?

Non partire dall’idea che tu non possa essere felice senza quello che desideri.

È un’ipotesi, un gioco.

Se fosse possibile, ti starebbe bene?

Ovviamente questo non vuol dire rinunciare alle cose che desideri o sogni, sarebbe inutile.

Non è una rinuncia fisica, lo capite: sarebbe facile. Quando cadono le vostre illusioni, finalmente siete in contatto con la realtà, e credetemi, non sarete mai più soli, mai più.

Il problema non è rinunciare al lavoro che sogni, a farti una famiglia o a trovare qualcuno con cui condividere la tua vita.

Il punto è aprire gli occhi e scoprire che non è attraverso queste cose che sarai mai felice.

La domanda di prima è fondamentale per questo: ci rifiutiamo di essere felice senza avere qualcosa.

Il problema è che così facendo diventiamo prigionieri delle cose che ci sembrano indispensabili, e arrivano le pretese.

La più grande è che gli altri ci amino e ci rendano felici.

Pensiamo di averne bisogno.

Che sia naturale.

Conoscere se stessi scoprendo cosa siamo davvero portati a essere per natura.

Hai davvero bisogno di questo o quello? Che qualcuno ti ami?

Tu vuoi essere amato, o amata, per un solo motivo: vuoi essere felice.

Pensi che lo sarai se e quando qualcuno ti amerà in modo speciale, per questo cerchi l’amore.

A te, però, non interessa ricevere questo amore, ma solo essere felice e stare bene.

Se prima, quando ti ho chiesto se fossi disposto, o disposta, a essere felice senza ottenere nulla di quel che desideri, hai risposto no, è solo perché credi che quel che vuoi sia indispensabile.

Se potessi davvero essere felice anche senza niente, di tutto resto non ti importerebbe molto.

Non avresti pretese. Pretendi solo le cose, o le persone, che ritieni indispensabili per essere felice.

Ti consiglio, a questo punto, di leggere una guida in cui ti spiego come essere felice, per comprendere meglio come costruiamo dentro di noi la felicità.

De Mello scrive un messaggio per un’aquila che si crede un pollo perché fino a che continuerai a credere di aver bisogno di qualcosa per vivere felice, insisterai a cercarla e lotterai per averla.

Ma se un’aquila si pensa un pollo, non significa che lo sia diventata.

Certo è, però, che credendosi un pollo non proverà mai, nemmeno nei suoi sogni, a volare nel cielo e scoprire cos’è la libertà

E tutto perché non è consapevole dalla sua vera natura. Non puoi conoscere chi sei davvero senza sviluppare le tua consapevolezza.

Tutti potrebbero dirti che sei un pollo e non un’aquila e tu ci crederesti se non sai vedere la realtà con i tuoi occhi.

Un sugerimento er approfondire    MESSAGGIO PER UN’AQUILA CHE SI...
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