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Operazione Barbarossa

La decisione di Hitler di rompere il patto Molotov-Ribbentrop e di scatenare un attacco generale contro l'Unione Sovietica, manifestata per la prima volta già nel luglio 1940, nasceva in primo luogo dalle concezioni ideologico-razziali del dittatore volte alla costituzione di un Lebensraum ("spazio vitale") per la nazione tedesca; a questi fondamenti ideologici si accompagnarono però anche complesse motivazioni strategiche, politiche ed economiche: sconfiggere l'ultima potenza rimasta sul continente europeo per poi riversare l'intera potenza della Wehrmacht contro i britannici, e organizzare un'area di sfruttamento economico autosufficiente per condurre l'attesa lunga guerra transcontinentale contro gli Stati Uniti[34]. L'Unione Sovietica era nel frattempo impegnata in una frenetica corsa contro il tempo per ricostruire e riorganizzare le sue forze militari, modernizzando i suoi armamenti e le sue tattiche; prevedendo lo scoppio della guerra per il 1942, Stalin contava di riuscire a completare i suoi preparativi e di poter trattenere Hitler con concessioni economiche o diplomatiche, considerando inoltre insensato un attacco tedesco a est con i britannici ancora in armi a ovest

 

 

 

L'invasione tedesca (operazione Barbarossa) iniziò il 22 giugno 1941 con un attacco simultaneo su tutto il fronte; l'obiettivo era di occupare l'intera Unione Sovietica occidentale lungo una linea che, da Arcangelo sul Mar Glaciale Artico, sarebbe arrivata ad Astrachan' sul Mar Caspio, sottomettendo, sterminando o deportando le popolazioni locali e riducendo i territori a zone di colonizzazione e sfruttamento per i tedeschi[36]. Stalin, nonostante i numerosi avvertimenti diplomatici e di intelligence ricevuti, fu colto di sorpresa, avendo fino all'ultimo interpretato i segni di un attacco tedesco come semplici pressioni intimidatorie di Hitler per costringerlo a trattare da posizioni di debolezza. Oltre 3 milioni di soldati tedeschi con 3 350 carri armati e 2 000 aerei mossero all'attacco su un fronte lungo 1 600 chilometri, venendo presto raggiunti nei giorni seguenti dagli eserciti di Romania e Finlandia, da corpi di spedizione inviati da Italia, Ungheria e Slovacchia e da volontari anticomunisti provenienti da tutta Europa.

Fin dall'inizio, la situazione dei sovietici si rivelò drammatica: le forze tedesche, divise in tre gruppi d'armate (Nord, Centro e Sud), avanzarono subito in profondità per decine di chilometri nelle retrovie delle truppe sovietiche, rimaste ferme sulle linee di confine. Il caos regnò nella catena di comando sovietica: le comunicazioni erano interrotte, le incursioni aeree tedesche devastarono i depositi e i centri di comando, e a Mosca né Stalin né l'alto comando (Stavka) compresero la catastrofe che si profilava. Mentre le prime linee sovietiche si battevano accanitamente ma disordinatamente, le colonne corazzate tedesche manovrarono per chiudere in grandi sacche le forze nemiche; le ingenti riserve corazzate sovietiche furono gettate subito allo sbaraglio contro le più esperte Panzer-Division, ma invano: i tedeschi avanzarono negli Stati Baltici avvicinandosi a Leningrado, accerchiarono tre armate sovietiche nell'area di Minsk-Białystok causando quasi 400 000 perdite al nemico e progredirono in Ucraina verso Žitomir e Kiev dopo aver infranto la resistenza sovietica nella battaglia di Brody-Dubno[38]. A metà luglio lo schieramento iniziale sovietico era stato praticamente distrutto dall'attacco tedesco, con oltre un milione di prigionieri presi nel solo primo mese di guerra.

 

 

 

Superata Minsk, i tedeschi procedettero rapidamente sulla strada per Mosca accerchiando il secondo scaglione sovietico nel corso della battaglia di Smolensk a metà luglio. Nel frattempo, completata l'occupazione dei paesi baltici e in congiunzione con l'avanzata finlandese in Carelia, i tedeschi mossero su Leningrado raggiungendo il lago Ladoga l'8 settembre; la grande città fu tagliata fuori e posta sotto assedio, con i tedeschi che puntavano a farla cadere per fame[39]. In Ucraina la resistenza sovietica in difesa di Kiev e della linea del fiume Dnepr fu invece più dura, rallentando l'avanzata tedesca; sorsero ben presto contrasti in seno all'alto comando tedesco su quale dovesse essere l'obiettivo della campagna, mai del tutto definito: il capo di stato maggiore dell'esercito, generale Franz Halder, premeva per lanciare i panzer alla volta di Mosca, ma Hitler ritenne più importante annientare sul campo la forza da combattimento dell'Armata Rossa[40]. Dopo il successo di Smolensk, il Gruppo d'armate Centro in marcia su Mosca fu quindi privato di gran parte delle sue forze corazzate, spedite a sud in Ucraina in rinforzo al Gruppo d'armate Sud; ciò consentì ai tedeschi di chiudere due enormi sacche, a Uman' tra luglio e agosto dove furono presi 100 000 soldati sovietici, e poi a Kiev tra agosto e settembre, dove l'intero gruppo di forze sovietiche del settore meridionale fu accerchiato e distrutto con la perdita di oltre 600 000 soldati[41]. Forze tedesche si diressero quindi alla volta della penisola di Crimea, di Char'kov e di Rostov sul Don, completando l'occupazione dell'intera Ucraina

 

 

Riportati i gruppi corazzati in appoggio al Gruppo d'armate Centro, il 30 settembre i tedeschi sferrarono quindi la loro grande offensiva per prendere Mosca (operazione Tifone): i corazzati penetrarono subito le cinture difensive sovietiche, malamente schierate e organizzate, e progredirono con grande velocità chiudendo altre due grandi sacche a Brjansk e Vjaz'ma il 7 ottobre[41]. Mentre il corpo diplomatico e il governo si trasferivano a Kujbyšev, Stalin decise di rimanere nella capitale e organizzarne la difesa, richiamando dal fronte di Leningrado il generale Georgij Žukov e, soprattutto, schierando numerose divisioni ben equipaggiate provenienti dalla Siberia dove, grazie alle notizie fornite dalla spia Richard Sorge, i sovietici erano certi che il Giappone non avrebbe mai attaccato[43]. L'intervento di queste truppe scelte, le capacità di Žukov e anche l'arrivo dell'autunno fangoso fermarono la marcia tedesca sulla capitale a fine ottobre

 

L'ultima spallata tedesca, iniziata il 16 novembre, nonostante qualche successo iniziale fallì di fronte alla solida resistenza sovietica e al progressivo peggioramento del clima. Stalin e Žukov disponevano ancora di forze di riserva efficienti e ben equipaggiate per l'inverno, per un totale di quasi 1 800 000 soldati, con cui sferrarono a partire dal 5 dicembre un improvviso contrattacco sia a nord che a sud di Mosca contro le avanguardie tedesche, oramai bloccate dal gelo. L'azione fu totalmente inaspettata per le esauste truppe tedesche: in mezzo alle intemperie invernali i sovietici liberarono molte importanti città attorno a Mosca e respinsero i tedeschi a oltre 100 km dalla capitale. La Wehrmacht subì la sua prima pesante sconfitta della guerra: vi furono crolli del morale tra le truppe ed enormi quantità di equipaggiamento furono perse. L'operazione Barbarossa si concluse quindi alla fine dell'anno con un fallimento: l'Unione Sovietica, nonostante la perdita di 4,3 milioni di uomini[38], non era crollata ed era invece passata al contrattacco. I tedeschi furono costretti a combattere una dura battaglia difensiva invernale, in una situazione strategica complessiva cambiata a sfavore della Wehrmacht che al 31 dicembre 1941 aveva subito 831 000 perdite, quasi un quarto dei suoi effettivi

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