“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Niente di più vero. In effetti, questa famosa frase nel 1825 da un grande chef come Jean Anthelme Savarin per il suo trattato “Fisiologia del gusto”, è quanto mai ancora attuale. Pensare ad esempio ai viaggi che si fanno in giro per il mondo e all’importanza che, da turisti, diamo all’assaggiare le pietanze del posto, spesso menzionate nei vari cataloghi turistici o nelle guide locali, proprio perché estrema trasformazione in gusto di identità culturali e sociali. Eh, si la cucina va necessariamente tra le peculiarità di un popolo tra i suoi connotati, come una realtà sociologica a tutti gli effetti, considerato che a volte i popoli ne fanno un vero e proprio emblema distintivo. Quindi chi vuole davvero conoscere un popolo, o comprendere una cultura, non può fare a meno di porsi anche il problema di come quel popolo mangi, esaminando non solo i vari cibi e i vari sapori, ma anche le abitudini a tavola. La conoscenza delle abitudini alimentari Romane, completerà il panorama che altre discipline possono fornire, come la storia e l’archeologia, considerate normalmente le più valide per conoscere i popoli antichi. Ma uno scavo archeologico deve poter prendere in esame anche l’aspetto alimentare, che se analizzato a fondo, consentirà di scoprire molte consuetudini della vita quotidiana di un popolo. In Sicilia se tu domandassi cosa si mangia, loro risponderebbero con dei buonissimi piatti tipici, lo stesso vale per qualsiasi tipo di cittadino che sfocerebbe una lista di piatti prelibati del suo paese. La stessa cosa non sarebbe possibile qualora ci venisse in mente la domanda come mangiavano i Romani? Come sappiamo i romani fecero delle innovazioni, come conservassero i cibi per lungo tempo in modo tale da prevenire problemi gravi come la carestia. A Roma c’era un clima pressoché mite e la calura estiva aggravava il problema dell’ immediata deperibilità delle sostanze organiche, un problema da cui poteva dipendere la sopravvivenza. I processi di conservazione più usati furono :
· L’ESSICCAZIONE AL SOLE, utilizzata per la carne e il pesce
· LA SALAGIONE, specialmente dopo la costruzione delle SALINAE di Tiberio
· L’AFFUMICATURA: tecnica che consiste nell'esporre un prodotto alimentare al fumo provocato dalla combustione di legno avente una bassa quantità di resina.
Essiccazione
Questa tecnica di conservazione degli alimenti consiste nel separare i liquidi ,generalmente e specificatamente nel nostro caso l’acqua, dai solidi che compongono gli alimenti sottoponendoli all’esposizione di una fonte di calore. L’eliminazione dell’acqua contenuta nei cibi elimina lo sviluppo di muffe e batteri ,propri degli ambienti umidi. Senza l’acqua infatti le reazioni chimiche sono rallentate e gli enzimi non si formano. Questo procedimento era in uso già in tempi remoti. Questa tecnica conservativa è molto vantaggiosa perché i cibi mantengono a lungo quasi interamente le proprietà organolettiche. Degli svantaggi ci sono, i prodotti essiccati tendono a perdere in gran parte la vitamina C. In termini tecnici si deve parlare di essiccazione quando vengono impiegati solo mezzi naturali, come appunto i raggi del Sole, Se invece il processo viene condotto in un ambiente industriale il termine corretto è disidratazione.
Salagione
Questa tecnica sfrutta le proprietà disidratanti del sole comune. Quando un alimento viene immerso in una soluzione salina più concentrata viene completamente purificato dei batteri e dagli altri microrganismi che muoiono per effetto del processo osmotico, cedendo dall’esterno tutti i loro liquidi. Quasi tutti i batteri vengono bloccati nella crescita e riproduzione in concentrazioni di sale superiori al 10%. Per questo motivo il sale aiuta a conservare più a lungo i cibi , che vengono poi posti in luoghi asciutti e freddi. Anche qui, certamente ci sono dei lati negativi: la salagione porta il sapore necessariamente a un innalzamento dalla soglia del salato. Senza contare la perdita di alcune vitamine ( C ). Queste salagione poteva avvenire in alcuni modi: a secco o in umido. In quella a secco il sale veniva cosparso sul cibo, badando di usare sale grosso perché quello raffinato avrebbe agito troppo in fretta creando una barriera sugli strati esterni dell’ alimento e impedendo la penetrazione a fondo. Caso classico è il prosciutto oppure si potevano alternare strati di sale e strati di prodotto. E’ questo è il caso del “GARUM”(Salsa Liquida di interiora di pesce e pesce salato). Nel caso invece della salagione, in umido il cibo veniva immerso in una soluzione di acqua e sale, una salamoia, che poteva avere diversa concentrazioni dal debole, col 10 % di sale,alla media, col 18% di sale, a quello forte, al 25%. Questo processo veniva impiegato su larga scala sulle carni e sul pesce ma non forniva dei risultati sempre ottimali visto che la carne, si induriva terribilmente e poteva essere consumata solo dopo averla fatta bollire a lungo nel latte e poi nell’ acqua.
Affumicatura
Questa tecnica di conservazione, molto antica, prevede l’esposizione degli alimenti ai fini della combustione di legnami a basso contenuto di resina. Questo processo può essere svolto in due modi a freddo o a caldo. L’affumicatura a freddo prevede l’esposizione ai fumi per circa 48 ore e la temperatura deve essere compreso tra i 60 e i 75 gradi. Tra le due è il prima ad avere una maggiore efficacia in fatto di conservazione. Ma probabilmente i Romani utilizzavano pressoché la seconda, per ovvie ragioni tecniche. I batteri venivano uccisi per il colore, generato, per la disidratazione per la mancanza di ossigeno e per la presenza, nel fumo, della formaldeide, sostanza antibatterica. Oggi si eseguono entrambe, passando dalla fredda alla calda. Anche qui, qualche controindicazione: prima di tutto si generano degli idrocarburi policiclici aromatici che sono cancerogeni. Ma certo i Romani anche questo non lo sapevano. La seconda nota negativa è che i sapori vengono fortemente influenzati da questo trattamento, anche se alcuni cibi vengono apprezzati proprio se affumicati . Questa tecnica era molto usata per il pesce e per alcune varietà di carne,come ancora oggi, ma anche per i formaggi. La carne veniva conservata utilizzando tutti e tre i sistemi e poi, cosa particolare, veniva conservata in locali bui, su scaffali ben areati e costruiti per questo scopo. Questo tipo di locali si chiamavano “CARNARIUM” e qui la carne, una volta affumicata o essiccata, veniva appesa per tenerlo il più possibile areata e lontana dai roditori mentre quella salata veniva chiusa in contenitori di terracotta. La graduale introduzione del vetro come contenitore di cibi fu una vera e propria rivoluzione nel campo della conservazione dei cibi