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I rapporti cristiani e romani

I comportamenti "asociali" e le dicerie

I cristiani, separati dalla società romana, rifiutavano culti pagani, cariche pubbliche e il servizio militare, comportandosi come obiettori di coscienza. Questa chiusura, unita alla segretezza dei loro riti, generava dicerie (orgie, sacrifici di bambini) e tensioni familiari, alimentando il sospetto.

La diffidenza popolare

Considerati responsabili delle calamità come "capri espiatori", i cristiani erano bersagli di odio popolare. I martiri cristiani, che accettavano tormenti con eroismo, confondevano ulteriormente l'opinione pubblica. Scrittori come Tacito e Tertulliano testimoniano questa avversione.

Lo Stato e la tolleranza

Lo Stato inizialmente adottò una politica di tolleranza. Traiano, ad esempio, vietò persecuzioni indiscriminate. Tuttavia, alcuni cristiani abiuravano, mentre altri affrontavano il martirio o ottenevano un libello per evitare indagini.

Le grandi persecuzioni

Tra il II e il III secolo, l'espansione cristiana portò a persecuzioni sistematiche, culminate con quella di Diocleziano (303-304 d.C.). Fallito il tentativo di estirparlo, il cristianesimo ottenne INFIDE la legalità con l'editto di Costantino (313 d.C.).

Cristianesimo e rivoluzione sociale

Pur proclamando uguaglianza, il cristianesimo non cercava riforme politiche o sociali, accettando le gerarchie esistenti, compresa la schiavitù. Il messaggio <<Rendete a Cesare quello che è di Cesare>> ne rifletteva la linea apolitica.

Le interpretazioni estreme

Movimenti come il montanismo (II secolo d.C.) predicavano la fine del mondo, esaltavano visioni profetiche e davano spazio alle donne. Dichiarati eretici, furono repressi dalla Chiesa e dallo Stato entro il VI secolo.

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